Regina De Albertis ad Euroconstruct Intervento ad Euroconstruct il 18 Novembre 2014

Regina De Albertis
Mi chiamo Regina De Albertis, ho 31 anni, sono laureata in ingegneria edile e lavoro nell'impresa di famiglia... la Borio Mangiarotti. L’Impresa venne fondata da mio nonno Carlo Mangiarotti nel 1920 con un socio il Geom. Filiberto Borio. L’azienda apre cantieri in tutta Italia e costruisce stabilimenti industriali da Savona a Marghera, da Massa Carrara ad Agrigento.A cavallo fra le due guerre e nel periodo della ricostruzione l’Impresa collabora con i più importanti progettisti come De Finetti, Gigiotti Zanini, Muzio, Figini e Pollini realizzando edifici che sono oggi la storia del paese.
L’azienda opera in tutta Italia, ma i due originali soci ormai 60enni non se la sentono di gettarsi nella realizzazione delle grandi infrastrutture come autostrade e dighe e l’Impresa rimane ancorata all’edilizia civile. Questa scelta ne limita l’espansione e lentamente la sfera di attività si riduce al Nord Italia, ma nel contempo si rafforza la struttura patrimoniale che le consente di superare egregiamente le crisi degli anni 70/80/90. Negli anni 80 l’azienda diventa anche promotrice-costruttrice progettando, finanziando, realizzando e vendendo importanti quartieri residenziali.
Questo tipo di attività rappresenta oggi il core business della nostra impresa.

Considerando la realtà delle imprese di costruzione italiane la nostra è una struttura tipica di medio livello: infatti il nostro paese è caratterizzato per il 90% dalla presenza di tantissime realtà a carattere familiare di piccola-media dimensione.
Questa struttura delle aziende ha retto fino agli anni duemila, in cui il mercato dell'edilizia era fiorente, ma oggi non può più reggere.
Infatti la crisi economica iniziata nel 2008, oggi ancora in corso, ha segnato un punto di svolta strutturale rispetto al passato in ogni settore di attività. La dinamica di distruzione del valore è però stata particolarmente rilevante nel settore delle costruzioni:
-il comparto ha risentito di una domanda privata indebolita in ambito residenziale, commerciale e industriale,
-ha sofferto in tutti i segmenti di attività le conseguenze di una stretta creditizia che ha fatto venir meno, per lungo tempo, l’accesso alla finanza necessaria a supportare i processi d’acquisto e di avvio di nuovi progetti,
-ha dovuto misurarsi con la contrazione delle risorse disponibili in ambito pubblico.
Solo alcuni numeri ad esempio: si sono persi 80.000 posti di lavoro all'anno nel settore negli ultimi sei anni, con una forte riduzione soprattutto dei dipendenti (oltre 60.000 all'anno) e tra il 2008 e il 2012 sono chiuse 57.000 imprese.

Su un punto siamo tutti concordi: se non riparte il sistema delle costruzioni il paese non riparte e da questa crisi non si esce.
Per far si che questo avvenga bisogna avviare un processo rapido di adeguamento e innovazione sostenendo e favorendo, anche con strumenti innovativi, la trasformazione del mercato verso modelli organizzativi in grado di tornare a competere.

Senza andare ad analizzare i problemi esogeni, che tutti conosciamo, quali l’eccesso di burocrazia, l’assenza di un quadro normativo chiaro e stabile, la diminuzione delle risorse pubbliche, una concorrenza basata solo sul prezzo, la fragilità del mondo bancario, mi concentro sui principali fattori di forte criticità che si sono evidenziati all’interno del nostro settore.

Infatti dobbiamo riconoscere che anche le nostre strutture e il nostro modo di lavorare presenta dei problemi: partiamo dal migliorare noi come imprese per poi essere pronti quando anche le condizioni esterne miglioreranno.

Nel dettaglio:

• un significativo processo di esternalizzazione delle attività all’interno del settore, con l’adozione generalizzata di modelli di fornitura terziarizzati che hanno impoverito il patrimonio di competenze detenuto dalle imprese soprattutto di medie dimensioni. Questo sistema ha portato a un utilizzo estremamente flessibile e conveniente di alcuni fattori produttivi (su tutti, il lavoro), ma ha generato la crescita di entità autonome (fornitori, contoterzisti,…), competitive nel presidio di alcune fasi del processo produttivo (fasi, in alcuni casi, caratterizzate da elevato valore aggiunto, come la progettazione, la promozione e la vendita);

• la scarsa propensione all’internazionalizzazione, nonostante – anche nel prossimo futuro – le migliori opportunità di crescita saranno all’estero;

• l’insufficiente diffusione di know how progettuale, anche a causa delle ridotte dimensioni medie aziendali;

• il livello relativamente contenuto di competenze manageriali diffuse, spesso a causa di un’eccessiva sovrapposizione tra proprietà e gestione delle imprese;

• la relativa difficoltà per le imprese tradizionali a fronteggiare l’emergere di nuovi competitor dal mondo dei materiali e delle forniture, a causa di un’inadeguata preparazione nel gestire gli sviluppi tecnologici.

È' necessaria, da parte di noi imprenditori, la presa di coscienza che in passato, la fase espansiva del ciclo economico creava benefici per tutti gli attori; nel medio termine, in assenza di crescita dell’economia, solo alcuni – i migliori – potranno generare valore e prosperare grazie alla capacità di intercettare i nuovi bisogni del cliente e costruire modelli produttivi e organizzativi differenziati, basati sul presidio di competenze aziendali esclusive, secondo una logica ormai comune a tutti i settori manifatturieri.

La consapevolezza di questa nuova realtà rende indispensabile l’avvio di una seria riflessione su come “lavorare” sulle dinamiche fondamentali delle imprese del comparto, per giungere all’individuazione di modelli di gestione sostenibili, adatti a questa nuova, impegnativa situazione.

Tra i temi da affrontare vi sono:

• la capacità delle imprese di relazionarsi con altre imprese per integrare maggiormente attori e porzioni di filiera, fino alla creazione di “costellazioni del valore”, vale a dire insiemi di aziende integrate in logica di partnership in funzione dei progetti e dei bisogni dei clienti;

• il progressivo sviluppo e mantenimento – per linee interne, ma non solo – di competenze manageriali, tecniche e industriali in grado di far compiere il salto qualitativo e quantitativo della media impresa verso realtà di maggiori dimensioni, competitiva sul mercato domestico, ma anche sui mercati in crescita a livello globale;

• la capacità di generare innovazione sul lato dell’offerta, ponendo attenzione ai bisogni sociali ed economici emergenti;

• la progressiva standardizzazione e industrializzazione dei processi di costruzione, anche in contesti meno controllati rispetto all’ambiente della “fabbrica” industriale;

• la riduzione dei costi, senza rinunciare alla qualità, attraverso l’esasperato controllo dei processi di costruzione;

• la ricerca della qualità senza compromessi, senza aggravi di costi, legati ad una gestione ottimale ed integrata dei processi di progettazione e costruzione;

• la ricerca dell’internazionalizzazione, dove possibile;

• l’individuazione di nuove soluzioni di “buona” finanza, in grado di favorire il rilancio del settore senza generare gli squilibri del passato.

Queste tematiche apparentemente molto note, sia a livello imprenditoriale che a livello istituzionale sono state affrontate negli ultimi decenni, principalmente, nei diversi ambiti manifatturieri, ma non nel settore delle costruzioni dove si presentano ancora margini per la formulazione di proposte innovative.

E’, infatti, necessario partire da un ripensamento dei modelli produttivi e organizzativi, in risposta a queste sfide, ma anche da una politica industriale seria che tenga in debita considerazione un settore come quello delle costruzioni che da sempre contribuisce allo sviluppo dei paesi.

In altre nazioni, come ci hanno raccontato i relatori che mi hanno preceduto, la partnership tra istituzioni pubbliche e associazioni imprenditoriali ha dato vita a vere e proprie politiche di sostegno e di collaborazione volte a sostenere il settore non per "filantropia" verso uno specifico comparto, ma perché viene riconosciuto all' industria delle costruzioni un ruolo trainante dell'economia nel suo complesso.

Questo potrebbe consentire alle nostre imprese di fare un salto di qualità e poter effettivamente competere nel contesto internazionale.

Per mancanza di tempo non posso soffermarmi ad elencare, come nella nostra azienda, abbiamo cercato di analizzare le tematiche sopra elencate.

Solo un brevissimo cenna al lato offerta e al prodotto.

Abbiamo cercato di conoscere e capire le evoluzioni del mercato, i nuovi stili di vita, le parole chiave che guidano le scelte di acquisto future: qualità, connessione, green, socialità, condivisione.

Innovare il prodotto, per il sistema delle costruzioni, da sempre uno dei più conservativi, vuol dire cambiare approccio al mercato.

Abbiamo cercato di proporre soluzioni innovative che hanno notevolmente migliorato la qualità delle nostre realizzazioni ma il tempo di gestazione dell’innovazione, nel nostro settore, è molto lungo in quanto l’introduzione di cambiamenti nelle tecniche e nei materiali richiede non solo la valutazione prestazionale del singolo elemento ma anche l’interazione nel complesso dell’edificio: va misurata la durabilità dei suoi effetti e la compatibilità con gli altri materiali e soluzioni.

Il prodotto edilizio non può essere eterno: deve essere immesso nel mercato corredato di un libretto di manutenzione perché se no l’uso del prodotto risulta essere assolutamente individuabile e poco controllabile.

Per quanto riguarda, sempre molto velocemente, il lato prodotto ma in relazione alla ricerca di soluzioni di “buona finanza” abbiamo messo in piedi formule di acquisto vantaggiose per i nostri acquirenti che facilitano l’ingresso alla prima casa assumendosi una gestione controllata e responsabile per la sua clientela. Si tratta della formula dell’acquisto con il riscatto o Rent to buy, molto apprezzata nei paesi stranieri: si gode da subito dell'immobile in affitto, con l'opzione di poterne poi acquisire la proprietà e imputare i canoni versati a pagamento di una parte del prezzo. E’ una modalità allettante per chi vuol comprar casa ma manca di sufficiente liquidità, che fatica ad ottenere un mutuo; in questa maniera si allarga così la capacità di accesso alla casa ad una larga parte della popolazione.

Il problema infatti è oggigiorno non tanto la carenza di domanda, bensì la capacità di accesso alla casa: che sia in affitto o in proprietà. Accesso alla casa che è limitato da due principali elementi critici: il lavoro (quindi il reddito in relazione all’affitto e al costo di una rata di mutuo) e la capacità di ottenere credito.

I punti di forza di questa operazione dunque sono parecchi sia per l’acquirente che per il venditore Per l’acquirente si tratta palesemente di avere il vantaggio di un uso immediato dell’immobile, maggiore possibilità di ottenere un finanziamento per perfezionare l’acquisto avendone già pagato una parte, maggior tempo per vendere il proprio immobile in caso di cambio casa, possibilità di dilazionare l’impegno finanziario nel lungo periodo. Anche il venditore/promotore immobiliare può confidare in aspetti favorevoli: in caso di alloggi sfitti ha la possibilità di non lasciare l’immobile inutilizzato, può incassare immediatamente dei corrispettivi anche a copertura del mutuo contratto dall’impresa per lo sviluppo, la possibilità di attribuire i costi di gestione a carico del conduttore.

Sicuramente alcuni disagi per l’acquirente ci sono e la nostra fiscalità non aiuta: questo tipo di contratto è equiparato ad una vendita vera e propria e quindi sconta da subito la stessa tassazione di un atto di compravendita. Per questo l’acquirente deve pagare l’Iva sull’intero valore dell’appartamento al momento della sottoscrizione del contratto di locazione a termine.. Inoltre al momento di ingresso nell’operazione l’acquirente si impegna a non cambiare idea: per lui l’acquisto diventa un obbligo. Anche per il venditore il differimento nel tempo dell’incasso del corrispettivo è sicuramente un disincentivo rispetto ad operazioni con vendita tradizionale.

Ciò nonostante, in periodi quale l’attuale, il Rent to buy può essere un importante terreno di condivisione per il mercato di chi vende e compra unità immobiliari.

Voglio invece soffermarmi più a lungo sul tema del controllo del processo per ridurre i costi senza perdere qualità infatti la crisi ha reso sempre più forte l’esigenza di progettare e realizzare con previsioni meno probabilistiche dei tempi, dei costi e degli errori.

Come già avvenuto in altri settori l’innovazione è passata attraverso l’informatizzazione e l’organizzazione delle informazioni scambiate tra le varie fasi di lavorazione.

La parola d’ordine di questo secolo, quindi, per il settore è quindi l’information management e la gestione informativa dei dati costruttivi tra tutti i componenti della filiera attraverso la razionalizzazione dei nostri processi produttivi e la schematizzazione.

E’ partendo da questa profonda convinzione – ovvero dalla necessità di condivisione dei flussi informativi , alcuni anni fa abbiamo intrapreso la strada dell’applicazione del BIM nei nostri processi produttivi.

Il Building Information Modeling può essere definito, in un senso più ampio e generale, come una procedura standardizzata di lavoro di equipe in cui i dati devono essere si inseriti mediante le competenze tecniche riferibili alle proprie specifiche professionalità ma, anche, in maniera tale che gli stessi dati possano essere visualizzati, interrogati e analizzati dagli altri professionisti chiamati a rispondere ai più svariati aspetti della progettazione, ognuno con le proprie specifiche competenze, in un unico spazio di lavoro digitale condiviso.

Un qualunque workflow che punti a integrare tutti gli aspetti multi-disciplinari e multi-dimensionali di un processo costruttivo, infatti, non riesce quasi mai a esaurirsi con l’uso, seppur intensivo, di un unico software. È necessario, allora, potersi e sapersi relazionare, interfacciarsi con colleghi che si occupano di differenti temi della progettazione, monitorare e calibrare la gestione dell’intero e nell’intero processo costruttivo sia che si usi un unico software, trattando eventualmente tematiche differenti, sia che se ne usino diversi più adatti a temi specifici.

Però per fare tutto ciò non basta acquistare il software ma è necessario attuare un cambiamento organizzativo e soprattutto è necessario che tutta la filiera decida di intraprendere questo cammino.

Questo l’abbiamo capito però con grande difficoltà infatti è stato proprio l’errore che abbiamo fatto quando, come azienda, ci siamo approcciati a questa nuova realtà ormai 4 anni fa…semplice acquisto di un software con l'idea di agganciare alla progettazione la dimensione dello spazio.
Per noi rappresentava solamente come un'evoluzione del sistema di disegno delle informazioni dalla matita, al tecnigrafo, al cad, al cad 3D.

Bim equivaleva a modello 3D.

Ma questa ho capito essere una visione assolutamente limitata di questo strumento.
Non avevamo considerato che il BIM, non è semplicemente una innovazione tecnologica ma bensì una vera e propria rivoluzione nello svolgere il processo edilizio dalla fase di ideazione a quella di demolizione: permette di creare un unico modello di informazioni condivise alla quale attingono tutte le parti interessate durante l'avanzamenti del processo edilizio e permette di agganciare, oltre alla dimensione dello spazio (3D), anche la dimensione temporale (4D) e quella dei costi (5D) fino alla frontiera del 6D per la gestione, manutenzione e dismissione di un bene, che, al contrario della produzione manifatturiera, presenta un lunghissimo ciclo di vita. Va inteso come un sistema collaborativo di produzione.

Si tratta dell'implementazione del concetto di interoperabilità, nella fasi di ideazione, realizzazione e gestione degli edifici in cui tutte le figure coinvolte parlano lo stesso linguaggio.
Ciò permette di ottenere una maggiore qualità (maggiore analisi delle scelte e delle loro conseguenze con una riduzione dei rischi di errore legati ai molteplici passaggi di informazione), una maggior controllo dei costi e dei flussi informativi.

Abbiamo qui per questa ragione deciso di coinvolgere in questo cambiamento in modo "cogente" anche i progettisti architettonici, strutturali e impiantistici: infatti loro, come noi imprese di costruzione, sono i primi protagonisti e non i primi beneficiari di questa rivoluzione dovendo accettare che la loro competenze e il loro ruolo diventa più difficile oneroso e distinto.
Purtroppo infatti siamo giunti alla consapevolezza che è veramente difficile far capire e far in modo che tutti intraprendano questo cambiamento senza che ci sia una forte committenza, pubblica o privata ad innescare questo circolo virtuoso.

Il percorso di implementazione ha molte barriere da abbattere ma dobbiamo essere tutti consapevoli che qualunque misura di carattere esogeno, relativa a fiscalità, finanziamento, burocrazie e altro non potrà ripristinare le condizioni precedenti ne risultare decisiva per il comparto e quindi volenti o nolenti dobbiamo ripensare al nostro processo produttivo, e limando tutti gli sprechi e quella del bim a parer mio è una delle sfide che il nostro settore deve cogliere.

E deve coglierlo per tempo per far si che arriviamo preparati al momento in cui sarà cogente per legge come in altri paesi dove è diventato uno strumento di gestione del rischio per il mondo finanziario e un metodo di ottimizzazione della spesa pubblica per il mondo istituzionale

L’implementazione del BIM riduce i rischi in un progetto, consente una migliore visione dell’esito del progetto, tenuto conto che secondo una recente una ricerca dell’Unione Europea sui difetti di costruzione emerge che il 25% è dovuto a carenze in fase di progettazione, un ulteriore 25% riguarda disfunzioni nel coordinamento dei diversi operatori durante la realizzazione e il 50% a carenze di controllo in fase esecutiva, specifiche tecniche non corrette e problemi finanziari.

Le ragioni dell’implementazione del BIM sono quindi la reddittività, la qualità del lavoro, l’efficacia, la competitività e le nuove opportunità di business.
Può sembrare un paradosso, ma in imprese di dimensioni minori come la nostra, l’adozione del BIM è quasi più facile perché le procedure possono essere minimizzate e quindi, stante le dimensione delle nostre imprese, è una sfida che non possiamo lasciarci scapparee lavoro nell'impresa di famiglia Borio Mangiarotti. L’Impresa venne fondata da mio nonno Carlo Mangiarotti nel 1920 con un socio il Geom. Filiberto Borio. L’azienda apre cantieri in tutta Italia e costruisce stabilimenti industriali da Savona a Marghera, da Massa Carrara ad Agrigento.
A cavallo fra le due guerre e nel periodo della ricostruzione l’Impresa collabora con i più importanti progettisti come De Finetti, Gigiotti Zanini, Muzio, Figini e Pollini realizzando edifici che sono oggi la storia del paese.
L’azienda opera in tutta Italia, ma i due originali soci ormai 60enni non se la sentono di gettarsi nella realizzazione delle grandi infrastrutture come autostrade e dighe e l’Impresa rimane ancorata all’edilizia civile. Questa scelta ne limita l’espansione e lentamente la sfera di attività si riduce al Nord Italia, ma nel contempo si rafforza la struttura patrimoniale che le consente di superare egregiamente le crisi degli anni 70/80/90. Negli anni 80 l’azienda diventa anche promotrice-costruttrice progettando, finanziando, realizzando e vendendo importanti quartieri residenziali.
Questo tipo di attività rappresenta oggi il core business della nostra impresa.

Considerando la realtà delle imprese di costruzione italiane la nostra è una struttura tipica di medio livello: infatti il nostro paese è caratterizzato per il 90% dalla presenza di tantissime realtà a carattere familiare di piccola-media dimensione.
Questa struttura delle aziende ha retto fino agli anni duemila, in cui il mercato dell'edilizia era fiorente, ma oggi non può più reggere.
Infatti la crisi economica iniziata nel 2008, oggi ancora in corso, ha segnato un punto di svolta strutturale rispetto al passato in ogni settore di attività. La dinamica di distruzione del valore è però stata particolarmente rilevante nel settore delle costruzioni:
-il comparto ha risentito di una domanda privata indebolita in ambito residenziale, commerciale e industriale,
-ha sofferto in tutti i segmenti di attività le conseguenze di una stretta creditizia che ha fatto venir meno, per lungo tempo, l’accesso alla finanza necessaria a supportare i processi d’acquisto e di avvio di nuovi progetti,
-ha dovuto misurarsi con la contrazione delle risorse disponibili in ambito pubblico.
Solo alcuni numeri ad esempio: si sono persi 80.000 posti di lavoro all'anno nel settore negli ultimi sei anni, con una forte riduzione soprattutto dei dipendenti (oltre 60.000 all'anno) e tra il 2008 e il 2012 sono chiuse 57.000 imprese.

Su un punto siamo tutti concordi: se non riparte il sistema delle costruzioni il paese non riparte e da questa crisi non si esce.
Per far si che questo avvenga bisogna avviare un processo rapido di adeguamento e innovazione sostenendo e favorendo, anche con strumenti innovativi, la trasformazione del mercato verso modelli organizzativi in grado di tornare a competere.

Senza andare ad analizzare i problemi esogeni, che tutti conosciamo, quali l’eccesso di burocrazia, l’assenza di un quadro normativo chiaro e stabile, la diminuzione delle risorse pubbliche, una concorrenza basata solo sul prezzo, la fragilità del mondo bancario, mi concentro sui principali fattori di forte criticità che si sono evidenziati all’interno del nostro settore.

Infatti dobbiamo riconoscere che anche le nostre strutture e il nostro modo di lavorare presenta dei problemi: partiamo dal migliorare noi come imprese per poi essere pronti quando anche le condizioni esterne miglioreranno.

Nel dettaglio:

• un significativo processo di esternalizzazione delle attività all’interno del settore, con l’adozione generalizzata di modelli di fornitura terziarizzati che hanno impoverito il patrimonio di competenze detenuto dalle imprese soprattutto di medie dimensioni. Questo sistema ha portato a un utilizzo estremamente flessibile e conveniente di alcuni fattori produttivi (su tutti, il lavoro), ma ha generato la crescita di entità autonome (fornitori, contoterzisti,…), competitive nel presidio di alcune fasi del processo produttivo (fasi, in alcuni casi, caratterizzate da elevato valore aggiunto, come la progettazione, la promozione e la vendita);

• la scarsa propensione all’internazionalizzazione, nonostante – anche nel prossimo futuro – le migliori opportunità di crescita saranno all’estero;

• l’insufficiente diffusione di know how progettuale, anche a causa delle ridotte dimensioni medie aziendali;

• il livello relativamente contenuto di competenze manageriali diffuse, spesso a causa di un’eccessiva sovrapposizione tra proprietà e gestione delle imprese;

• la relativa difficoltà per le imprese tradizionali a fronteggiare l’emergere di nuovi competitor dal mondo dei materiali e delle forniture, a causa di un’inadeguata preparazione nel gestire gli sviluppi tecnologici.

È' necessaria, da parte di noi imprenditori, la presa di coscienza che in passato, la fase espansiva del ciclo economico creava benefici per tutti gli attori; nel medio termine, in assenza di crescita dell’economia, solo alcuni – i migliori – potranno generare valore e prosperare grazie alla capacità di intercettare i nuovi bisogni del cliente e costruire modelli produttivi e organizzativi differenziati, basati sul presidio di competenze aziendali esclusive, secondo una logica ormai comune a tutti i settori manifatturieri.

La consapevolezza di questa nuova realtà rende indispensabile l’avvio di una seria riflessione su come “lavorare” sulle dinamiche fondamentali delle imprese del comparto, per giungere all’individuazione di modelli di gestione sostenibili, adatti a questa nuova, impegnativa situazione.

Tra i temi da affrontare vi sono:

• la capacità delle imprese di relazionarsi con altre imprese per integrare maggiormente attori e porzioni di filiera, fino alla creazione di “costellazioni del valore”, vale a dire insiemi di aziende integrate in logica di partnership in funzione dei progetti e dei bisogni dei clienti;

• il progressivo sviluppo e mantenimento – per linee interne, ma non solo – di competenze manageriali, tecniche e industriali in grado di far compiere il salto qualitativo e quantitativo della media impresa verso realtà di maggiori dimensioni, competitiva sul mercato domestico, ma anche sui mercati in crescita a livello globale;

• la capacità di generare innovazione sul lato dell’offerta, ponendo attenzione ai bisogni sociali ed economici emergenti;

• la progressiva standardizzazione e industrializzazione dei processi di costruzione, anche in contesti meno controllati rispetto all’ambiente della “fabbrica” industriale;

• la riduzione dei costi, senza rinunciare alla qualità, attraverso l’esasperato controllo dei processi di costruzione;

• la ricerca della qualità senza compromessi, senza aggravi di costi, legati ad una gestione ottimale ed integrata dei processi di progettazione e costruzione;

• la ricerca dell’internazionalizzazione, dove possibile;

• l’individuazione di nuove soluzioni di “buona” finanza, in grado di favorire il rilancio del settore senza generare gli squilibri del passato.

Queste tematiche apparentemente molto note, sia a livello imprenditoriale che a livello istituzionale sono state affrontate negli ultimi decenni, principalmente, nei diversi ambiti manifatturieri, ma non nel settore delle costruzioni dove si presentano ancora margini per la formulazione di proposte innovative.

E’, infatti, necessario partire da un ripensamento dei modelli produttivi e organizzativi, in risposta a queste sfide, ma anche da una politica industriale seria che tenga in debita considerazione un settore come quello delle costruzioni che da sempre contribuisce allo sviluppo dei paesi.

In altre nazioni, come ci hanno raccontato i relatori che mi hanno preceduto, la partnership tra istituzioni pubbliche e associazioni imprenditoriali ha dato vita a vere e proprie politiche di sostegno e di collaborazione volte a sostenere il settore non per "filantropia" verso uno specifico comparto, ma perché viene riconosciuto all' industria delle costruzioni un ruolo trainante dell'economia nel suo complesso.

Questo potrebbe consentire alle nostre imprese di fare un salto di qualità e poter effettivamente competere nel contesto internazionale.

Per mancanza di tempo non posso soffermarmi ad elencare, come nella nostra azienda, abbiamo cercato di analizzare le tematiche sopra elencate.

Solo un brevissimo cenna al lato offerta e al prodotto.

Abbiamo cercato di conoscere e capire le evoluzioni del mercato, i nuovi stili di vita, le parole chiave che guidano le scelte di acquisto future: qualità, connessione, green, socialità, condivisione.

Innovare il prodotto, per il sistema delle costruzioni, da sempre uno dei più conservativi, vuol dire cambiare approccio al mercato.

Abbiamo cercato di proporre soluzioni innovative che hanno notevolmente migliorato la qualità delle nostre realizzazioni ma il tempo di gestazione dell’innovazione, nel nostro settore, è molto lungo in quanto l’introduzione di cambiamenti nelle tecniche e nei materiali richiede non solo la valutazione prestazionale del singolo elemento ma anche l’interazione nel complesso dell’edificio: va misurata la durabilità dei suoi effetti e la compatibilità con gli altri materiali e soluzioni.

Il prodotto edilizio non può essere eterno: deve essere immesso nel mercato corredato di un libretto di manutenzione perché se no l’uso del prodotto risulta essere assolutamente individuabile e poco controllabile.

Per quanto riguarda, sempre molto velocemente, il lato prodotto ma in relazione alla ricerca di soluzioni di “buona finanza” abbiamo messo in piedi formule di acquisto vantaggiose per i nostri acquirenti che facilitano l’ingresso alla prima casa assumendosi una gestione controllata e responsabile per la sua clientela. Si tratta della formula dell’acquisto con il riscatto o Rent to buy, molto apprezzata nei paesi stranieri: si gode da subito dell'immobile in affitto, con l'opzione di poterne poi acquisire la proprietà e imputare i canoni versati a pagamento di una parte del prezzo. E’ una modalità allettante per chi vuol comprar casa ma manca di sufficiente liquidità, che fatica ad ottenere un mutuo; in questa maniera si allarga così la capacità di accesso alla casa ad una larga parte della popolazione.

Il problema infatti è oggigiorno non tanto la carenza di domanda, bensì la capacità di accesso alla casa: che sia in affitto o in proprietà. Accesso alla casa che è limitato da due principali elementi critici: il lavoro (quindi il reddito in relazione all’affitto e al costo di una rata di mutuo) e la capacità di ottenere credito.

I punti di forza di questa operazione dunque sono parecchi sia per l’acquirente che per il venditore Per l’acquirente si tratta palesemente di avere il vantaggio di un uso immediato dell’immobile, maggiore possibilità di ottenere un finanziamento per perfezionare l’acquisto avendone già pagato una parte, maggior tempo per vendere il proprio immobile in caso di cambio casa, possibilità di dilazionare l’impegno finanziario nel lungo periodo. Anche il venditore/promotore immobiliare può confidare in aspetti favorevoli: in caso di alloggi sfitti ha la possibilità di non lasciare l’immobile inutilizzato, può incassare immediatamente dei corrispettivi anche a copertura del mutuo contratto dall’impresa per lo sviluppo, la possibilità di attribuire i costi di gestione a carico del conduttore.

Sicuramente alcuni disagi per l’acquirente ci sono e la nostra fiscalità non aiuta: questo tipo di contratto è equiparato ad una vendita vera e propria e quindi sconta da subito la stessa tassazione di un atto di compravendita. Per questo l’acquirente deve pagare l’Iva sull’intero valore dell’appartamento al momento della sottoscrizione del contratto di locazione a termine.. Inoltre al momento di ingresso nell’operazione l’acquirente si impegna a non cambiare idea: per lui l’acquisto diventa un obbligo. Anche per il venditore il differimento nel tempo dell’incasso del corrispettivo è sicuramente un disincentivo rispetto ad operazioni con vendita tradizionale.

Ciò nonostante, in periodi quale l’attuale, il Rent to buy può essere un importante terreno di condivisione per il mercato di chi vende e compra unità immobiliari.

Voglio invece soffermarmi più a lungo sul tema del controllo del processo per ridurre i costi senza perdere qualità infatti la crisi ha reso sempre più forte l’esigenza di progettare e realizzare con previsioni meno probabilistiche dei tempi, dei costi e degli errori.

Come già avvenuto in altri settori l’innovazione è passata attraverso l’informatizzazione e l’organizzazione delle informazioni scambiate tra le varie fasi di lavorazione.

La parola d’ordine di questo secolo, quindi, per il settore è quindi l’information management e la gestione informativa dei dati costruttivi tra tutti i componenti della filiera attraverso la razionalizzazione dei nostri processi produttivi e la schematizzazione.

E’ partendo da questa profonda convinzione – ovvero dalla necessità di condivisione dei flussi informativi , alcuni anni fa abbiamo intrapreso la strada dell’applicazione del BIM nei nostri processi produttivi.

Il Building Information Modeling può essere definito, in un senso più ampio e generale, come una procedura standardizzata di lavoro di equipe in cui i dati devono essere si inseriti mediante le competenze tecniche riferibili alle proprie specifiche professionalità ma, anche, in maniera tale che gli stessi dati possano essere visualizzati, interrogati e analizzati dagli altri professionisti chiamati a rispondere ai più svariati aspetti della progettazione, ognuno con le proprie specifiche competenze, in un unico spazio di lavoro digitale condiviso.

Un qualunque workflow che punti a integrare tutti gli aspetti multi-disciplinari e multi-dimensionali di un processo costruttivo, infatti, non riesce quasi mai a esaurirsi con l’uso, seppur intensivo, di un unico software. È necessario, allora, potersi e sapersi relazionare, interfacciarsi con colleghi che si occupano di differenti temi della progettazione, monitorare e calibrare la gestione dell’intero e nell’intero processo costruttivo sia che si usi un unico software, trattando eventualmente tematiche differenti, sia che se ne usino diversi più adatti a temi specifici.

Però per fare tutto ciò non basta acquistare il software ma è necessario attuare un cambiamento organizzativo e soprattutto è necessario che tutta la filiera decida di intraprendere questo cammino.

Questo l’abbiamo capito però con grande difficoltà infatti è stato proprio l’errore che abbiamo fatto quando, come azienda, ci siamo approcciati a questa nuova realtà ormai 4 anni fa…semplice acquisto di un software con l'idea di agganciare alla progettazione la dimensione dello spazio.
Per noi rappresentava solamente come un'evoluzione del sistema di disegno delle informazioni dalla matita, al tecnigrafo, al cad, al cad 3D.

Bim equivaleva a modello 3D.

Ma questa ho capito essere una visione assolutamente limitata di questo strumento.
Non avevamo considerato che il BIM, non è semplicemente una innovazione tecnologica ma bensì una vera e propria rivoluzione nello svolgere il processo edilizio dalla fase di ideazione a quella di demolizione: permette di creare un unico modello di informazioni condivise alla quale attingono tutte le parti interessate durante l'avanzamenti del processo edilizio e permette di agganciare, oltre alla dimensione dello spazio (3D), anche la dimensione temporale (4D) e quella dei costi (5D) fino alla frontiera del 6D per la gestione, manutenzione e dismissione di un bene, che, al contrario della produzione manifatturiera, presenta un lunghissimo ciclo di vita. Va inteso come un sistema collaborativo di produzione.

Si tratta dell'implementazione del concetto di interoperabilità, nella fasi di ideazione, realizzazione e gestione degli edifici in cui tutte le figure coinvolte parlano lo stesso linguaggio.
Ciò permette di ottenere una maggiore qualità (maggiore analisi delle scelte e delle loro conseguenze con una riduzione dei rischi di errore legati ai molteplici passaggi di informazione), una maggior controllo dei costi e dei flussi informativi.

Abbiamo qui per questa ragione deciso di coinvolgere in questo cambiamento in modo "cogente" anche i progettisti architettonici, strutturali e impiantistici: infatti loro, come noi imprese di costruzione, sono i primi protagonisti e non i primi beneficiari di questa rivoluzione dovendo accettare che la loro competenze e il loro ruolo diventa più difficile oneroso e distinto.
Purtroppo infatti siamo giunti alla consapevolezza che è veramente difficile far capire e far in modo che tutti intraprendano questo cambiamento senza che ci sia una forte committenza, pubblica o privata ad innescare questo circolo virtuoso.

Il percorso di implementazione ha molte barriere da abbattere ma dobbiamo essere tutti consapevoli che qualunque misura di carattere esogeno, relativa a fiscalità, finanziamento, burocrazie e altro non potrà ripristinare le condizioni precedenti ne risultare decisiva per il comparto e quindi volenti o nolenti dobbiamo ripensare al nostro processo produttivo, e limando tutti gli sprechi e quella del bim a parer mio è una delle sfide che il nostro settore deve cogliere.

E deve coglierlo per tempo per far si che arriviamo preparati al momento in cui sarà cogente per legge come in altri paesi dove è diventato uno strumento di gestione del rischio per il mondo finanziario e un metodo di ottimizzazione della spesa pubblica per il mondo istituzionale

L’implementazione del BIM riduce i rischi in un progetto, consente una migliore visione dell’esito del progetto, tenuto conto che secondo una recente una ricerca dell’Unione Europea sui difetti di costruzione emerge che il 25% è dovuto a carenze in fase di progettazione, un ulteriore 25% riguarda disfunzioni nel coordinamento dei diversi operatori durante la realizzazione e il 50% a carenze di controllo in fase esecutiva, specifiche tecniche non corrette e problemi finanziari.

Le ragioni dell’implementazione del BIM sono quindi la reddittività, la qualità del lavoro, l’efficacia, la competitività e le nuove opportunità di business.

Può sembrare un paradosso, ma in imprese di dimensioni minori come la nostra, l’adozione del BIM è quasi più facile perché le procedure possono essere minimizzate e quindi, stante le dimensione delle nostre imprese, è una sfida che non possiamo lasciarci scappare
TAGS: BIM; impresa; costruzioni
Notice: This website or its third party tools use cookies, which are necessary to its functioning and required to achieve the purposes illustrated in the cookie policy. If you want to know more or withdraw your consent to all or some of the cookies, please refer to the cookie policy. By closing this banner, scrolling this page, clicking a link or continuing to browse otherwise, you agree to the use of cookies..