mer, 02 ottobre 2024

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Rudi Bianchi

1967, Capo cantiere 
Nato a Bosisio Parini (LC), vive a Canzo (CO)

Mio padre – Graziano Bianchi – è stato uno dei primi a fare la guida alpina nel Lecchese. Girava il mondo accompagnando gli esploratori. E io, come lui, mi sono innamorato della montagna. Tra i 22 e i 30 anni, appena avevo un minuto, partivo per scalare le vette più alte del mondo. Sono stato in India sulla Neverseen Tower (la torre mai vista), sul Kilimangiaro in Africa, e poi in Pakistan, in Nepal, in Argentina, in Bolivia. L’ho sempre fatto come hobby, prendevo le ferie e via! Sono sempre stato molto prudente. Tante volte, ho abbandonato l’impresa e sono tornato indietro.
A 50 anni ho deciso di fare il Pilone Centrale del Frêney sul Monte Bianco, un pezzo di storia dell’alpinismo perché è la parete su cui Walter Bonatti ha perso i suoi compagni dopo 4 giorni di bufera. Sono pilastri verticali alti fino a 1500m e si bivacca in parete incastrati in una fessura. Mi sono detto: “meglio farla adesso perché poi è troppo tardi” e invece non è stato così. Continuo a scalare, anche se scelgo mete più abbordabili. Tra la guida e il geometra, alla fine ha vinto il secondo. Sono andato a lavorare in un’impresa. Ma penso che il carattere della montagna mi sia servito per fare questo lavoro. Devi essere determinato. In cantiere, come in montagna, devi saper prevedere, anticipare. Acquisisci quello che chiamo un certo “senso di sopravvivenza buono”: devi avere carattere, intuito, coraggio e attenzione. Devi usare la testa, riflettere e avere una grande calma; se poi sbagli, devi saper tornare indietro e decidere come farlo. È complicato, come un’arrampicata in montagna.

Foto © Isabella Sassi Farìas