Le dieci mappe di Milano riprodotte in queste pagine sono molto lontane tra loro per tema e resa grafica, sono pro-dotte da diversi autori, per diversi committenti e in vista di obiettivi specifici. Non si tratta di una collezione di piani urbanistici ed infrastrutturali, ma piuttosto di una raccolta di visioni della città e per la città, accomunate dallo stesso punto di vista, zenitale, e dalla stessa modalità di rappresen-tazione, il disegno. In questo quadro, la funzione di ciascuna mappa è innanzitutto quella di mettere in evidenza un tema, che è stato centrale nel dibattito sulla città in ogni decen-nio: dall’urgenza dell’espansione urbana testimoniata dallo Schema della rete stradale del Piano Albertini (1934), alla nuova scala di progetto proposta dal Piano Intercomunale Milanese (1963), dall’importanza del potenziamento del trasporto pubblico visualizzata dalla Mappa della rete metro-politana milanese degli Anni ’70, alla questione della soste-nibilità che ispira il Progetto Milano Raggi Verdi (2008). La complessità della città emerge in filigrana da queste letture sintetiche, selettive, che nel loro insieme chiariscono le grandi direzioni di cent’anni di sviluppo urbano di Milano.
PIANTA DI MILANO QUADRO D'INSIEME
Touring Club Italiano
Via Marchiondi 3, Milano
1927–1928
Pur nella sua grafica estremamente stilizzata, il quadro d’insieme di una mappa del Touring Club Italiano della fine degli Anni ’20 fornisce un interessante fermo-immagine sulla città prima delle grandi trasformazioni e distruzioni dei decenni successivi, dagli sventramenti fascisti ai bombardamenti. Il centro storico è relativamente compatto. Il “piccone risanatore”, ad esempio, non ha ancora toccato i quartieri popolari del Verziere e del Bottonuto, a sud del Duomo, che si trasformeranno in largo Augusto, via Verziere, via Albricci e piazza Diaz. A causa delle campiture piene della carta, anche la maglia stradale regolare della città moderna, impostata nei suoi caratteri generali dal Piano Beruto negli Anni ’80 dell’Ottocento, sembra qui più densa e conclusa di quanto non lo fosse nella realtà. I grandi vuoti degli scali merci sono connessi da un anello ferroviario continuo, che conoscerà fortune alterne. Il tratto che corrisponde all’attuale viale Tunisia, ad esempio, sarà soppresso poco dopo, ma “ricomparirà” come passante ferroviario sotterraneo negli Anni ’90 del Novecento. Il Parco Sempione, i Giardini Pubblici e l’area della Fiera Campionaria spiccano già nel tessuto urbano come tre grandi recinti, spazi pubblici organizzati secondo regole proprie.
Foto: Archivio Storico Touring Club Italiano
PIANO ALBERTINI SCHEMA DELLA RETE STRADALE
Cesare Albertini
1934
Il Piano Albertini, che prende il nome dal suo redattore Cesare Albertini, direttore dell’ufficio tecnico comunale, traghetta l’urbanistica milanese dall’esperienza ottocentesca del Piano Beruto ai tentativi di pianificazione post- bellica degli Anni ’50. Del primo Piano Regolatore della città, redatto dall’ingegner Cesare Beruto tra il 1885 e il 1889, prosegue in maniera apparentemente acritica il reticolo stradale, che arriva a saturare l’intera superficie del comune, ampliatasi nel 1923 con l’annessione di undici municipalità limitrofe. Alla ricostruzione e agli anni del boom lascia in eredità il tracciamento di alcuni importanti assi viari nel centro storico. In particolare, tra le proposte più controverse contenute nel Piano Albertini, vi è l’apertura della famigerata “Racchetta” a percorren-za veloce, che avrebbe dovuto collegare largo Augusto con corso Magenta, distruggendo gran parte del cuore della città. Il progetto fu definitivamente accantonato, e le relative demolizioni sospese, solo negli Anni ’50, in corrispondenza di piazza Missori. I ruderi della chiesa di San Giovanni in Conca, che affacciano ancora sulla piazza, sono il risultato non dei bombardamenti bellici, ma dell’interruzione, subitanea quanto intempestiva, della distruzione programmata dell’edificio.
Foto: Urbanistica 18-19, 1956
PIANO A.R.
Franco Albini, Piero Bottoni, Ignazio Gardella, Ernesto Nathan Rogers e altri
1944-1945
Milano non è ancora uscita dalla guerra quando i principali esponenti della cultura architettonica ed urbanistica della città elaborano il Piano A.R., pubblicato nel 1945 su Casabella e su Rinascita, e che resterà allo stadio di proposta. Tra gli Architetti Riuniti a cui fa riferimento l’acronimo, ci sono anche Franco Albini, Lodovico Belgiojoso, Piero Bottoni, Ignazio Gardella, Giancarlo Palanti, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers. Dalle loro rifles-sioni scaturisce una proposta anticipatrice dei temi che saranno al centro del dibattito sul capoluogo lombardo nei decenni successivi: la possibile collocazione del centro direzionale, la relazione della città con il sistema delle infrastrutture regionali e gli aeroporti, il suo rapporto con le aree verdi extra-urbane. L’elemento più rivoluzionario del Piano A.R., però, riguarda il momento cruciale della ricostruzione, all’epoca incipiente. Gli estensori del piano propongono esplicitamente di ripensare l’istituto della proprietà fondiaria privata. L’obiettivo è quello di sottrarre le aree bombardate alle pressioni della speculazione, per farne il punto di partenza di un ripensamento radicale della forma della città, del rapporto tra i suoi vuoti e i suoi pieni, tra spazi pubblici e costruzioni.
Foto: Archivio Piero Bottoni, DASTU, Politecnico di Milano
PIANO REGOLATORE GENERALE
SCHEMA TERRITORIALE
1953
Agli inizi degli Anni ’50, Milano, ancor più di tante altre grandi città italiane, attraversa una fase di crescita rapi-dissima, una “rinascita” economica e sociale che si traduce nella trasformazione repentina delle sue strutture materiali. La ricostruzione o sostituzione degli edifici distrutti dalla guerra nella città consolidata, così come l’espansione delle nuove periferie residenziali e produttive, proseguono a ritmo frenetico. Il P.R.G. - Piano Regola-tore Generale, approvato nel 1953, è redatto in questo clima di urgenza, mentre la questione della pianificazione acquista una centralità sempre maggiore nel dibattito nazionale. La versione finale del piano è un compromesso, non del tutto soddisfacente, tra istanze contrapposte. Da un lato, promuove l’applicazione di molti principi deriva-ti dalla cultura urbanistica più avanzata dell’epoca (ad esempio la zonizzazione funzionale) e impone di destinare alcune delle ultime aree libere all’interno dei confini municipali a parco pubblico (compaiono per la prima volta in questo documento, ad esempio, il Parco delle Basiliche, il Parco Forlanini e il Parco di Trenno). Al tempo stesso, le pressioni della speculazione privata deformano ed impoveriscono diverse istanze coraggiose, ad esempio quella legata al decentramento: così, il Centro Direzionale, inizialmente concepito come polo di una Milano policentrica, trasla a ridosso dei Bastioni e si trasforma in un’estensione, senza soluzione di continuità, della città storica.
Foto: Centro Studi PIM
P.IM. PIANO INTERCOMUNALE MILANESE
Giancarlo De Carlo, Silvano Tintori, Alessandro Tutino
1963
Il P.I.M. - Piano Intercomunale Milanese non sfociò mai in un documento attuativo, eppure riveste una grandis-sima importanza nella storia della pianificazione urbana, non solo del capoluogo lombardo. Il piano nasce nei primi Anni ’60 dall’associazione volontaria di trentacinque comuni, poi diventati novantasette nel 1968. Per la prima volta, un gruppo di municipalità indipendenti sul piano amministrativo, tutte gravitanti geograficamente, culturalmente e funzionalmente attorno a Milano, immaginano di poter pianificare congiuntamente lo svilup-po del proprio territorio. Al Piano Intercomunale Milanese, il cui primo schema è ricordato per la caratteristica conformazione a turbina, si devono tra le altre cose la prima ipotesi di un sistema ferroviario metropolitano (che diventerà, molti anni dopo, il Passante Ferroviario) e la localizzazione dei grandi parchi extra-urbani di Milano: dal Parco Nord al Parco Agricolo Sud, dal Parco delle Groane al Parco di Monza. In ogni caso, ben al di là delle sue ricadute sul territorio, il Piano Intercomunale Milanese merita di essere ricordato per la sua capacità di ridefinire la scala di riferimento della disciplina: dagli Anni ’60, Milano amplia lo sguardo e si lega finalmente in una relazio-ne inscindibile con la sua regione.
Foto: Centro Studi PIM