Entrando negli uffici milanesi di Borio Mangiarotti si notano appese alle pareti due fotografie che sono la testimonianza e il simbolo degli anni di attività dell’impresa di costruzioni e dei mutamenti che sono avvenuti. Sono due scatti emblematici dove, nel 1937 e più tardi nel 2012, sono ritratte all’interno di un cantiere le persone che hanno fatto parte di quello specifico mondo delle costruzioni, contribuendo alla ripresa, allo sviluppo, all’innovazione e alla crescita del nostro Paese. Sono infinite le cose che ci colpiscono: volti, sguardi, gesti, abbigliamento, posture, ma anche luoghi, contesto, tecniche di lavorazione ed organizzazione del cantiere. E ancora luci, colori o assenza di colore. Come non essere affascinati dalla disposizione su più livelli della fotografia del ’900 dove tutti, operai compresi, sono vestiti per una importante occasione, orgogliosi di far parte di una grande e bella impresa, disposti coralmente intorno all’Ingegner Mangiarotti e alla parte dirigente. E quanti giovanissimi uomini, i cosiddetti magütt… ovviamente nessuna presenza femminile. Si percepiscono la sorpresa e il tono divertito per l’avvenimento, di certo un’occasione rara per l’epoca. Molti sono disposti lungo i ponteggi, a quei tempi ancora in legno, mentre alle loro spalle è visibile la nuova costruzione in fase di realizzazione di viale Sabotino/Ripamonti a Milano, le pareti in laterizio, alcune parti in cemento armato, i falsi telai che incorniciano le aperture. Da sempre l’opera del costruire, vedere un’idea trasformarsi in materia, forma, volume, studiarne i dettagli, approfondire le tecniche di gestione ed organizzazione del cantiere è fonte di soddisfazione ed orgoglio; impossibile non esserne coinvolti a qualsiasi livello si stia operando. Nel 2012 l’immagine realizzata da Paolo Rosselli coglie un altro momento particolare: tutti i protagonisti di Borio Mangiarotti sono radunati all’interno del grande scavo per la realizzazione del parcheggio a fianco della basilica di Sant’Ambrogio a Milano. La disposizione delle persone è su un piano orizzontale sul fondo dello scavo; uomini e donne ravvicinati in una fredda e luminosa giornata d’inverno. Alle loro spalle la imponente presenza della macchina escavatrice: potente “mostro tecnologico”, azionato da un unico operatore, che oggi permette la realizzazione di grandi opere in tempi contenuti. Al centro Renata Mangiarotti De Albertis e il marito Edoardo De Albertis, ma anche il figlio Claudio e i nipoti Edoardo, Regina, Jacopo e Marta perché l’impresa si è da sempre sviluppata nel solco della conduzione familiare, frutto di coesione di intenti, totale dedizione al lavoro, spiccate doti intellettuali e capacità organizzative. Evidente che le due immagini non sono soltanto lo specchio di momenti storici molto differenti tra loro ma sono anche la testimonianza del continuo lavoro di aggiornamento, della capacità comunitari ed aree a destinazione agricola e produttiva locale. Il modello da superare definitivamente è quello di una metropoli costruita per funzioni separate tra di loro nel tempo e nello spazio d’uso. Il modello a cui tendere, invece, è quello di tipo ibrido, flessibile, aperto all’uso di comunità fluide differenti nei diversi tempi della giornata e delle stagioni.
Questo vuole dire ripensare le scuole, gli impianti per lo sport e la salute, le istituzioni culturali e commerciali come se fossero tutte parti di una visione unica, circolare, aperta e sostenibile che riduca gli sprechi di spazio